L’Italia dei beni culturali: i nodi del cambiamento. Ricordando l’impegno e le proposte di Giuseppe Chiarante, Roma, Senato della Repubblica, Sala Capitolare, 3 dicembre 2013
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“Io sottolineo questo duplice aspetto del decentramento e dell’autonomia (autonomie funzionali degli organi decentrati del ministero e autonomie istituzionali delle regioni e degli enti territoriali) anche perché non si dovrebbe mai dimenticare che la specificità dei problemi della tutela del patrimonio culturale in Italia dipende proprio dallo stretto collegamento che c’è nel nostro Paese tra patrimonio culturale e territorio. In Italia la questione fondamentale non è, come può essere in altri Paesi, quella di amministrare bene un certo numero di musei; ma è prima di tutto quella di amministrare il meglio possibile quel patrimonio diffuso nel complesso del territorio che ben conosciamo. Anche per questo la scelta di conferire un’ampia ed effettiva autonomia agli organi (soprintendenze, biblioteche, archivi) che operano sul territorio trasferendo ad essi gran parte dei compiti oggi accentrati nell’amministrazione centrale sembra a gran parte dei membri del Consiglio Nazionale una soluzione non solo percorribile, ma necessaria per rispondere alle speranze di una riorganizzazione che sia anche l’avvio di un’autentica riforma del Ministero”. Queste parole sono state pronunciate da Beppe Chiarante in una tavola rotonda sul Regolamento di organizzazione del Ministero per i Beni e le Attività culturali (Roma, 9 marzo 2000, Aedon, 2, 2000), mentre infuriava la polemica per la stesura del regolamento di attuazione al 368/98, il decreto legislativo con cui Veltroni aveva cambiato radicalmente la struttura ministeriale dei beni culturali. La temperie di quegli anni è molto simile a quella in cui ci troviamo oggi, a soli 13 anni di distanza da quel cambiamento radicale, che provocò a sinistra una frattura nel mondo dei beni culturali, non ancora sanata e che anzi i successivi e rapidi cambiamenti, in peggio, che si sono succeduti, hanno se possibile aumentato, aumentando anche il dissenso e il disamore dei tecnici per un settore che per la maggior parte viene scelto con convinzione dagli operatori e dove non si arriva per caso.Un settore tra l’altro ormai dissanguato dai tagli lineari subiti negli ultimi anni e teatro di scorrerie esterne, tese ad accalappiare quelle poche fonti di finanziamento che ancora arrivano al MiBACT, oggi arricchito del turismo ma sempre privo dei beni ambientali che sarebbero il naturale complemento dei beni culturali, come anche Chiarante oggi avrebbe sostenuto.
Decentramento e autonomia, sono i due temi che sottolinea Chiarante nel suo intervento e sono i due perni intorno a cui ruota il suo pensiero nel campo della tutela, dal tempo delle Dodici proposte legislative che i gruppi parlamentari comunisti, poi PDS presentarono nel corso della X legislatura, dal 1987 al 1992, intorno ai temi della politica dei beni culturali e ambientali. Sono proposte, primi firmatari Argan, Bonfatti e Chiarante, che delineano un progetto organico di norme e di interventi per la tutela, la valorizzazione, l’arricchimento del patrimonio culturale del Paese. Ed erano molto innovative, talmente innovative che qualche critico con bonomia mi potrebbe far notare, ed è già successo, che nessuna arrivò in porto. E’ vero, sicuramente perché erano troppo avanti per i tempi; ma vedremo quante di quelle proposte sono germogliate in seguito, proprio perché contenevano quegli elementi innovatori a cui accennavo. Intanto a proporle era un team di tutto rispetto, non c’è bisogno di sottolineare, tra gli altri, l’azione di Argan, a cui dobbiamo in gran parte la lucida e fondamentale legge Bottai del 1939; inoltre testimoniano l’attenzione particolarmente competente e strutturata che riservava il PCI, poi PDS, alla materia, tanto che ad Argan era stato affidato il compito di ‘ministro ombra’ dei beni culturali nel 1991-92.
L’idea era di rendere autonomo il settore dei beni culturali e ambientali e di renderlo simile ad altri istituti di ricerca come il CNR; non erano tempi quelli in cui i fondi per la cultura venivano tagliati selvaggiamente – si potrebbe obiettare – , ma il progetto prevedeva, una volta attuato il decentramento amministrativo anche a livello periferico, che tutta la struttura potesse essere ricondotta sotto la vigilanza di un ministero come quello dell’Università, tra l’altro ponendo al di fuori del comparto ministeriale la materia che è giustamente più affine al comparto Ricerca. Alla luce dei fatti e dell’ attuale spending review credo che il risparmio potrebbe comunque essere notevole e i risultati certamente più soddisfacenti di quanto ottenuto fin qua. Ma è inutile che io mi diffonda su questo tema. Non credo ci sia un solo argomento positivo da ricondurre alla istituzione di questo Ministero, che è andato esattamente nell’opposta direzione di quella immaginata da Spadolini, il cui unico errore fu di pensare che una struttura ministeriale potesse avere peculiarità tecnico-scientifiche: un nonsenso. Alla proposta riguardante l’autonomia delle Soprintendenze e dei Musei di rilevanza nazionale si ispira l’istituzione dell’autonomia di Pompei e di Roma, voluta da Veltroni, e l’istituzione dell’autonomia di musei come l’Orientale, il Pigorini, l’Egizio, la GNAM, Brera, gli Uffizi. È sottolineata la differenza tra musei di rilevanza nazionale e quelli di minore rilevanza, per i quali è prevista la permanenza all’interno delle Soprintendenze dalle quali dipendono, per non spezzare l’unità museo-territorio. E questa lucida analisi è quanto mai attuale, in un momento in cui si vorrebbe andare nella direzione opposta. Non solo questi elementi sono oggi nell’ordinamento del MiBACT, ma anche altri di rilevante importanza a cui Chiarante aveva dedicato gran parte del suo impegno proprio come presidente dell’Associazione Bianchi Bandinelli sono in dirittura di arrivo.
Chiarante era subentrato, dopo la scomparsa di Argan, nel 1992, alla presidenza dell’Associazione fondata nel 1991 e il suo impegno a favore della competenza tecnico-scientifica di archeologi, storici dell’arte, architetti, archivisti, bibliotecari, senza dimenticare i demoetnoantropologi, traspare da tutte le iniziative messe in campo. Un fervore di dibattiti, convegni e studi che si traduce nella pubblicazione degli “Annali” dal 1994, giunti al n. 22 del 2010, tra i quali voglio ricordare Sulla Patrimonio S.p.A. e altri scritti sulle politiche attuali, del 2003, con una serie di interventi di Chiarante sul tema, a cui si oppose con grande fermezza, e il volume dedicato a Giulio Carlo Argan, del 2002, riedizione degli atti del convegno del 1993. Di non minore importanza, anzi, con il passare del tempo diventati strumenti sempre più attuali, soprattutto per l’avanzare impetuoso delle riforme, sono i Quaderni giuridici, tre dal 2001 al 2009, tra cui i volumi sul Testo Unico, sul Codice e sulle nuove norme che riguardano il Paesaggio, presto esauriti. E’ in corso di pubblicazione il Quaderno n. 4, a cura di Maria Emanuela Vesci e Rita Borioni, Vademecum di Legislazione dei beni culturali per le facoltà umanistiche. Molte iniziative sono state dedicate alla professionalità degli operatori nel settore della tutela, come le tre giornate del 1993 sulla Occupazione qualificata e la formazione dei laureati nel campo dei beni culturali; legislazioni nazionali e normative della Comunità europea o il convegno internazionale di studi del 2000 su La formazione per la tutela dei beni culturali, promosso dal Consiglio Nazionale e patrocinato dall’Accademia Nazionale dei Lincei e dalla Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, poi pubblicato negli “Annali” nel 2001. Il 4 marzo 2003 l’Associazione Bianchi Bandinelli, in collaborazione con l’ARI (Associazione restauratori italiani) e con l’Assotecnici (Associazione Nazionale dei tecnici per la tutela dei beni culturali) promuove un incontro di studio sul tema La nuova Legge per la formazione dei Restauratori. Al problema era stata dedicata una delle 12 proposte di legge del gruppo comunista al Senato, che riguardava i compiti in materia dell’ I.C.R. e dell’O.P.D.; la proposta prevedeva anche l’istituzione dell’albo dei restauratori, un riconoscimento professionale che oggi è realtà, anzi, quella dei restauratori è l’unica figura professionale introdotta nel Codice dei beni culturali e del Paesaggio del 2004. Infine, la proposta che prevede l’istituzione di albi anche per gli archeologi, gli storici dell’arte, gli archivisti, i bibliotecari, al fine di garantire la qualificazione di chi, anche al di fuori dei ruoli dell’amministrazione statale, dell’Università o di altri enti pubblici, svolge attività professionale nel campo dei beni culturali. Quell’ipotesi si sta concretizzando nella proposta di legge ex Madìa, oggi Ghizzoni-Orfini, per l’istituzione di elenchi presso il MiBACT dei professionisti qualificati. Il disegno di legge, che prende spunto dalla creazione degli elenchi per l’archeologia preventiva, è rimodellato su quanto prevede oggi la normativa europea nel campo delle professioni. Osteggiata da chi ignora il ruolo che l’Europa oggi assegna alle associazioni di categoria in materia di certificazione delle qualifiche professionali, la proposta è in dirittura di arrivo e manca soltanto il parere favorevole del ministro Bray, a cui ancora una volta mi appello a nome di tutti i giovani professionisti precari del settore.
Come abbiamo potuto constatare, una grande e profonda fecondità di idee ci ha lasciato Chiarante con gentile fermezza, così come lui era, fermo e gentile. E a proposito di quanto accade in questi giorni voglio ricordare le sue parole, in occasione di quella tavola rotonda del 2000: “Qualcuno potrebbe obiettare che, almeno nella tradizione italiana, vi è una contraddizione tra la parola “ministero” e la definizione di “struttura eminentemente tecnico-scientifica”: e, infatti, l’esperienza svolta dal ’75 in poi non è stata a questo riguardo molto confortante. Ma nel momento in cui si pone mano al riordinamento del ministero almeno un tentativo per far prevalere le ragioni della logica scientifica e culturale dovrebbe essere compiuto”.
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